22.000 morti al giorno, 821 milioni le persone colpite. Non è il bollettino della pandemia, ma quello delle persone afflitte dalla piaga del secolo: la fame e la malnutrizione (Rapporto FAO 2019).
Numeri da cui abbiamo preso l’abitudine al distanziamento, senza bisogno di norme governative che ce lo imponessero. Numeri che rischiano di rimanere tali, e non volti, persone, vite spezzate, spazzate via dall’indifferenza di un mondo che, contemporaneamente, vede aumentare la sovralimentazione e le malattie “del benessere” ad essa collegate.
Se abbiamo imparato qualcosa dalla pandemia, che sta continuando a colpire pesantemente soprattutto i più poveri e indifesi, è che “siamo tutti nella stessa barca”, come ci ha ricordato Papa Francesco, che non ci salviamo da soli, che la fraternità e la solidarietà sono l’unica cosa che ci rimane, che ciò che conta nella vita sono le relazioni, il bene che abbiamo voluto, la speranza. Non vogliamo rischiare di disperdere un patrimonio che ci è apparso in modo così chiaro alcuni mesi fa, e tornare alla nostra vita di un tempo. Non vogliamo e non possiamo.
Abbiamo sperimentato la forza della compassione, la forza del sacrificio a costo della vita, di cui hanno dato prova tanti medici, paramedici, personale addetto alle pulizie degli ospedali. Valori che pensavamo sopiti sono riemersi con prepotenza, a dimostrazione che la morte non ha più potere su di noi, che la vita va oltre, che l’amore non si ferma di fronte a nulla.
Ci è stata consegnata un’eredità, che sta a noi condividere, trasmettere, moltiplicare.
Stretti dalla paura della morte, abbiamo riscoperto il valore della vita. Preoccupati per la salute dei nostri cari più che della nostra, abbiamo sperimentato che è l’altro a donarci vita, a dare senso al nostro fare, a spingerci oltre i nostri limiti.
Se non moriamo per dare la vita, la vita morirà con noi. Se non moriamo a noi stessi, alle nostre chiusure, alla nostra indifferenza, quella vita cui cerchiamo di rimanere attaccati con tutte le nostre forze andrà perduta.
Allora ripartiamo da qui, attingiamo alla forza di quell’amore che in questo tempo ci ha fatto fare cose impensabili, che ci ha fatto sentire vicini, fratelli, col resto del mondo. Quel povero, quel dimenticato, quell’emarginato, ha bisogno di noi, che ci facciamo prossimi, vicini, come non lo siamo stati mai. Non lasciamo che il distanziamento dettato dall’egoismo permetta al virus dell’indifferenza di assestarci una ferita mortale.
Dalla Rivista Sulla Via della Pace n°60, articolo di Ruggero Zanon
Avvocato, Presidente dell’Associazione Via Pacis
rubrica Editoriale