Inutile dire che, essendo un’esperienza del tutto nuova per me, ero abbastanza agitatina. Qualsiasi cosa esuli dal “già visto, già sperimentato” presuppone in me una leggera ansietta iniziale e il fatto che fossimo davvero tante persone non ha contribuito a farmi stare tranquilla.
Non nascondo che è un periodo abbastanza difficile per me, e di conseguenza essere costantemente spinta fuori dalla mia comfort zone (in termini di relazioni con persone nuove, mettersi in gioco, competitività e cose varie), unito a diversi momenti più o meno toccanti per ciascuno di noi, è stato particolarmente impegnativo.
Tutto questo per dire che non ero proprio nel miglior stato mentale possibile quando sono arrivata, e, ciò nonostante, sono tornata a casa ricolma di gioia e gratitudine, accompagnata dalla famosa “sindrome post campeggio”.
Poter ascoltare le diverse testimonianze di persone preparate e consapevoli (magici animatori) è stato per me fonte di diversi spunti di riflessione. Non solo ci sono state poste domande complesse, ma ci è anche stato donato il tempo da potersi davvero dedicare, quel tempo che difficilmente riusciamo a trovare nella nostra quotidianità.
Ci è stato insegnato cosa vuol dire vivere davvero in pienezza, diventare pienamente noi stessi. Amare è attivamente mettersi in gioco, creare qualcosa al di fuori di noi stessi, accogliendo l’imprevisto con fiducia e fidandosi delle intuizioni più profonde, chiedendo di avere luce.
La domanda che continuo a farmi da quando sono tornata è “quando sono stata davvero felice?” Voglio capire per chi e per cosa scelgo di vivere, qual è quell’1% che posso fare oggi, ogni giorno, per avvicinarmi al mio sogno. La giovinezza è il tempo gratuito che ci è stato dato per scoprire il nostro progetto.
Ci è stato chiesto di fermarci, di lasciarci pervadere da quella sana inquietudine che ci permette di scavare in profondità, al di là del superfluo, trovando quel qualcosa che brilla nei sotterranei della nostra quotidianità.
Ho imparato che le nostre fragilità, i nostri limiti, non sono altro che i confini che ci muovono ad avere relazioni con gli altri. Sono quindi la nostra salvezza e in quanto tali vanno accolti ed integrati con fierezza nella nostra vita, generando forza e coraggio.
Continuerò sempre ad inneggiare alla forza della musica, dell’arte in generale. Non mi sento mai al posto giusto, mai all’altezza, eppure quando cantiamo tutti insieme niente di tutto questo importa più, l’unica cosa che conta sono gli sguardi, gli occhi sorridenti delle persone intorno a me, e la pace d’animo che questi mi danno.
So di essere incredibilmente fortunata a fare parte di un ambiente tanto puro e sano, così pieno di gioia, dove posso concentrarmi su ciò che è davvero importante, quella condivisione che porta alla tanto agognata e ricercata gioia piena.
Se c’è una cosa che mi porto a casa da questo Summer camp è quindi proprio la consapevolezza del voler investire sulle persone che mi fanno davvero stare bene, entrando a piccoli passi in questa realtà tanto ricca e potente che è Via Pacis.
Dalla Rivista Sulla Via della Pace n° 68
Rubrica Testimonianze