Giacomo entra in studio con lo sguardo rivolto verso il basso ed un’aria sconfitta, mi saluta sottovoce.
«Ciao Giacomo, come stai?» chiedo in punta di piedi.
«Domanda di riserva?!» risponde con un tono scocciato, riducendo da subito il mio spazio di manovra.
«Urca, deve essere stata proprio una giornataccia!» … Dopo questa affermazione scelgo di stare in silenzio, per dare a Giacomo il tempo di mettere in ordine emozioni, pensieri e parole.
«Scusi, ma come dice lei… giornataccia, in realtà…settimanaccia.»
«Ti va di raccontarmi?»
Giacomo fa una smorfia sbarrando gli occhi e dopo un faticoso sospiro parte a nastro: «Niente, è che sono stufo di tutto e di tutti, è iniziata scuola da sole due settimane e vorrei essere già a giugno, non tanto per la scuola in sé eh (compiti e quelle robe lì), ma per i miei compagni: insopportabili! Come ti ho già spiegato io appartengo al solito gruppo degli sfigati (vs popolari) e non vengo mai considerato, questo solo perché non mi interessa seguire su “Insta” o Tik-Tok i Ferragnez, solo perché non possiedo un IPhone 14 Pro, solo perché non ho i pantaloni della Cargo, solo perchè durante la “ricrea” non sto al telefono (sa se non si sta al telefono non si condivide più nulla con nessuno oggi e quindi ciaone)».
«Ok Giacomo, ho capito. Deve essere tremendamente difficile vivere pensando che l’approvazione la si ottenga solo a patto che si raggiungano determinati standard».
«Ma è così!», sottolinea fermamente.
In quest’ultima affermazione riesco a scorgere tutta la frustrazione, la rabbia, la tristezza del nostro Giacomo, il suo non sentirsi all’altezza degli altri e delle diverse situazioni sociali solamente perché non rientra nella logica dell’omologazione collettiva. Esiste una fase della vita, evolutiva e sana, per cui l’ancoraggio al gruppo dei pari, con tutto ciò che ne deriva, è di fondamentale importanza per rendere più “sicuro” lo svincolo dai genitori. Se ho un gruppo che funge da luogo in cui riesco a edificare il mio percorso identitario e a raggiungere una buona quota di autonomia e indipendenza, sentirò di ri-nascere alleviando il sentimento di perdita del bambino che sono stato. Se, al contrario, un po’ come il nostro Giacomo, facciamo fatica a soddisfare i nostri bisogni di autonomia e indipendenza all’interno del gruppo dei pari, perché sembra che l’accettazione sia correlata all’avere più che all’essere, ci sentiremo frustrati, esclusi, abbandonati e faticheremo a procedere serenamente. Il rischio più grande è che si vada a strutturare in Giacomo l’idea di non essere all’altezza, di non essere abbastanza, di non valere.
«Caro Giacomo, posso solo immaginare quanto sia difficile mettere ogni mattina il piede in classe ed essere investito da sguardi giudicanti o, ancor peggio, indifferenti, che amplificano il senso di esclusione e solitudine. Se ti va, visto che gli altri non li possiamo cambiare, potremmo iniziare da te e dalle emozioni e pensieri che mi hai portato oggi. Sei tu, qui con me, il punto di partenza. Riscopriamo insieme la tua unicità e i tuoi punti di forza, consapevoli dei limiti che tutti abbiamo (nessuno è perfetto!), vediamo assieme cosa potresti fare tu per contribuire a spezzare questa catena d’indifferenza e poi mi dirai come va, ok?»
«Ok, difficile… speriamo!»
Restiamo anche noi ancorati alla speranza di Giacomo, affinché vi possa essere un ritorno ai valori più nobili che tengano in considerazione l’essenza e la verità dell’essere umano. Prendendo in prestito le parole di Roberta Milanese, psicologa e psicoterapeuta, possiamo affermare che «la fragilità negata diventa una pericolosa debolezza, mentre quella accettata può trasformarsi addirittura in un punto di forza».
E. Casarini
Rubrica Presenti al presente,
dal Blog Storie, incontri, parole sulla Via della Pace