Ho un’amica che conosco dalla scuola elementare; negli ultimi anni la nostra relazione di amicizia, da superficiale come era stata per tanto tempo, ha iniziato a divenire più profonda, le nostre chiacchiere davanti ad un caffè sono diventate momenti di condivisione di gioie e fatiche, di sofferenze e conquiste. In uno di questi momenti lei mi ha condiviso la grande sofferenza di suo marito che, da qualche tempo, assieme a lei e ai fratelli si stava prendendo cura del vecchio padre ammalato. Il prendersi cura del padre aveva fatto emergere in maniera prepotente tutte le ferite di questo rapporto; grosse ferite dell’infanzia, che erano state coperte e tenute a bada per tanti anni, in questa situazione particolare erano come esplose e avevano messo suo marito in uno stato di sofferenza tremenda, che lei cercava di alleviare sostenendolo nella cura del padre e accogliendolo con amore.
Ritenendomi una brava “donna di pace”, io le ho assicurato il sostegno nella preghiera e così ho fatto, ma capivo che era anche altro che il Signore mi chiedeva di fare. Da molti anni sono membro di Via Pacis ed ho spesso sentito parlare dell’essere missionari nella nostra quotidianità, con le persone con cui viviamo o che incontriamo ogni giorno. Qualche volta lo facevo, ma solo in situazioni che sapevo già sicure, dove non avevo bisogno di mettermi in gioco. Ma l’invito ad essere missionaria, a espormi, mi incalzava dentro e non mi lasciava in pace.
Se non ero io ad essere missionaria di riconciliazione, io che avevo sperimentato tante guarigioni attraverso il perdono, chi poteva farlo? Se non lo avessi fatto avrei privato qualcuno di un dono che mi era stato dato da trafficare.
Così ho chiesto aiuto al Signore che mi preparasse la via e sono andata a trovarla a casa, armata del pieghevole “Il perdono guarisce”. Dopo un paio d’ore di conversazione, continuando a invocare lo Spirito Santo dentro di me, ho estratto il pieghevole, le ho spiegato cos’era e le ho raccontato di come era stato importante nel mio cammino, e che quindi pensavo potesse essere un aiuto anche per suo marito. La mia amica non sapeva più come fare per ringraziarmi, mi ripeteva «grazie, grazie, è proprio quello di cui avevo bisogno». Mi ha abbracciata e si sono aperte le porte del suo cuore. Ne è uscita tutta la sua personale sofferenza come un torrente in piena, una sofferenza che io non avevo mai neppure lontanamente sospettato.
Ancora una volta ho sperimentato che a me è chiesto di fare la mia parte, essere “ambasciatore di riconciliazione” al di là delle mie paure e preconcetti, il resto lo fa il Signore; ma non lo può fare senza la mia (nostra) collaborazione.