Come mai é difficile pregare?

In un convento, quattro giovani monaci discutevano durante il tempo di ricreazione su quale delle quattro virtù cardinali fosse la più difficile da praticare. Chi sosteneva la prudenza, chi la temperanza, chi la fortezza o la giustizia. Non arrivando a una soluzione, chiesero consiglio al saggio Abate. Egli rispose: «Ciò che è veramente difficile, è pregare!» I monaci rimasero stupiti: la loro vita in convento non era forse tutta dedicata a Dio nella preghiera?

Anche noi siamo perplessi: non ci è forse chiesto di pregare? Come mai è così difficile?

Se noi ci prefiggiamo di realizzare un progetto, lo realizziamo e possiamo rallegrarci del risultato, ma la preghiera non ha queste caratteristiche, non è qualcosa che fai, un progetto che realizzi, un’opera delle tue mani. Eppure, Gesù ci dice: «Vegliate e pregate» (Mc 14,38), e san Paolo rincara la dose: «Pregate ininterrottamente» (1Ts 5,17).

Forse, una difficoltà deriva dal fatto che consideriamo la preghiera come una “pratica” religiosa, della categoria del “fare”.

Oggi ho fatto i lavori di casa, ho fatto la spesa, ho sistemato questo e quell’altro…e ho “fatto” (o non ho “fatto”) le preghiere… Se le ho “fatte” mi sento sollevata, “a posto”. Se non le ho “fatte”, mi sento in colpa.

Ma proviamo a cambiare prospettiva.

E se la preghiera fosse di un’altra categoria? Se fosse, semplicemente, relazione? se avesse a che fare con l’amore?

Se voglio bene a qualcuno, un figlio ad esempio, farò di tutto per far crescere, migliorare, gustare la nostra relazione. Soffrirò quando la relazione non va bene, mi farò aiutare per migliorarla. Se comprendo che una relazione è vitale per me, come quella col coniuge, cercherò ogni strategia per coltivarla, curarla, proteggerla dall’abitudine. Queste relazioni poi, quelle davvero importanti, non le metto mai fra parentesi, non sono “a singhiozzo”: anche quando non siamo insieme, mio marito è con me, se vedo qualcosa di bello gli mando una foto, se succede qualcosa di particolare non vedo l’ora di raccontarglielo. Un genitore, specialmente se il figlio è piccolo, ha sempre una parte del cervello “collegata” al suo bambino…è vitale per la sopravvivenza!

Noi, in qualche modo, abbiamo fatto esperienza che il Signore è vitale per noi. Abbiamo sperimentato, in qualche occasione, che la relazione con Lui è vitale per la sopravvivenza, anzi, che Lui solo è la Vita, la vita in abbondanza. E la preghiera è ciò che ci permette di stare in relazione con Lui. Dio è sempre con noi, ma desidera ardentemente la nostra risposta. Come un genitore attende trepidante il momento in cui il suo piccolo dirà “mamma”, “papà”, così il nostro Dio aspetta che gli diciamo “Padre”, anzi, ce lo suggerisce dolcemente all’orecchio:

«”Signore, insegnaci a pregare”. Ed egli disse loro: Quando pregate, dite: Padre“» (Lc 11,1-2)

Ma allora, se è così e lo sappiamo, perché è così difficile?

Prima di tutto noi fatichiamo ad accettare la nostra creaturalità, il nostro essere piccoli e bisognosi di Lui. Ci illudiamo di essere autosufficienti, di poter fare a meno di Dio.

Il nemico poi ci mette mille ostacoli, ci fa pensare che la preghiera non serve, oppure che se non sentiamo nulla non vale, che se non siamo perfetti non possiamo pregare, che tanto Dio non ci ascolta (quante volte abbiamo pregato e non ci ha risposto come avremmo voluto!), che non è giusto perché prego solo quando ho bisogno.

Ciascuno poi potrà avere altre e personali difficoltà. Che fare? Se la Sua Parola ci invita con insistenza «Pregate ininterrottamente», come possiamo metterla in pratica?

Chiediamo al Signore, che ci conosce e ci ama, di risvegliare nel nostro cuore il dolce desiderio di stare con Lui. Desiderio non vuol dire “voglia” (se ho voglia prego, se no, no). Desiderio vuol dire ascoltare, nel profondo di noi, il desiderio del Padre di incontrarmi, di abbracciarmi, di guidare la mia vita, di darmi gioia e pienezza. Per rispondere a questo desiderio, decido, scelgo, di donare un po’ di tempo. Con pazienza, accettando e offrendo la fatica. Usando dei tanti modi e strumenti che la nostra spiritualità ci offre: le Lodi mattutine, la lode in ogni occasione, la lettura della Parola, un tempo di silenzio e adorazione… Senza un tempo dedicato, nessuna relazione può sopravvivere. Tutti conosciamo le conseguenze quando due coniugi, presi dalle mille attività, non si dedicano più del tempo speciale, solo per loro. Non basta la preghiera comunitaria: essa si nutre della preghiera personale di ciascuno, e a sua volta la nutre, in un circolo virtuoso. Non c’è l’una senza l’altra.

 

Maria Luisa Toller

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