Il limite e il ponte

I Romani, con la loro lingua latina, ci trasmettono un senso della vita che, forse, possiamo apprezzare e comprendere nelle mutate condizioni di oggi. LIMEN era la soglia di casa, LIMES era il confine di un campo, di una città, di una nazione. Non significava banalmente una barriera per i ladri o per nemici: esprimeva la consapevolezza che la realtà ha in sé qualcosa di sacro, da rispettare, da custodire con cura.

La perdita del senso del limite è letale per l’uomo; è la perdita del motivo per cui si fanno le cose, del motivo per cui siamo al mondo: prendersi cura degli altri, specialmente dei più piccoli, prendersi cura delle cose.

Se perdiamo il senso del limite, se assumiamo lo slogan che “tutto è possibile e che ogni mia voglia è un diritto”, il corpo va in frantumi. Mi riferisco al corpo sociale (lo Stato), al corpo ecclesiale, al corpo dell’uomo e della donna, al corpo della terra dove abitiamo. Ogni corpo, in verità, esprime un paradosso: è un LIMITE (diventiamo vecchi, ci ammaliamo, dobbiamo sottostare a regole naturali e sociali), ma è anche un PONTE (ci abbracciamo, comunichiamo, amiamo, ci prendiamo cura degli altri). Se ci viviamo solo come limite, ci intristiamo, ci chiudiamo in fortezze e moriamo; se ci viviamo solo come ponte, ci illudiamo di essere onnipotenti, senza limiti, ci facciamo come Dio e abusiamo del corpo degli altri; molte storie di abusi – sessuali, spirituali o di autorità – hanno questa radice.

Siamo chiamati ad integrare il paradosso: essere ponti attraverso i nostri limiti. È l’esperienza fondativa di Via Pacis: un prete malato, una coppia sterile, diventati speranza e vita per tanta gente.

C’è un mondo da ripensare, rapporti nuovi e fraterni da attivare, dando spazio alla creatività, a livello economico, politico e spirituale. Il Dio che si è ‘incarnato’, che cioè ha assunto il limite umano «fino alla morte e a una morte di croce», ha promesso di essere con noi ogni giorno, non come spettatore, ma come compagno di viaggio.

 

Tiziano Civettini

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