Data la nostra unicità e diversità viviamo e abbiamo vissuto tanti eventi di incontro e scontro con le altre persone, i quali hanno lasciato un segno, a volte una ferita. Abbiamo vissuto la diversità di pensieri, di sentimenti e comportamenti e ci è capitato di avere subito delle offese. Ciò è normale, tutti abbiamo qualcosa da perdonare e di cui essere perdonati.
Che cos’è il perdono?
La ricerca psicologica ha esplorato le origini del perdono e lo ha definito come una risposta attiva ad un’offesa, una strategia di adattamento, un processo che richiede tempo. Il perdono consiste nel “superamento degli affetti e dei giudizi negativi nei confronti dell’offensore con benevolenza, compassione e persino amore, pur riconoscendo che quest’ultimo non ne ha più diritto” (Everett Worthington).
Il perdono non è dimenticare: il primo fattore che ci consente di perdonare è accettare di avere subito un torto. Non è cancellare il torto, semmai cancella le conseguenze del torto, il diritto/desiderio di vendicarci. Non è giustificare: non perdono se giustifico chi mi ha offeso, l’errore resta tale. Non è riconciliarsi: il riconciliarsi presuppone il restauramento della relazione precedente. Quindi è possibile perdonare senza riconciliarsi, ma non è possibile riconciliarsi senza perdonare.
Se sono state altre persone a ferirci, sentiamo di essere stati danneggiati. Se invece siamo noi stessi che sentiamo di aver fatto qualcosa di sbagliato, percepiamo un fallimento personale. Da questi pensieri negativi partono reazioni difensive e il rancore, ad esempio, può portare alla reazione cognitiva chiamata “ruminazione mentale” che non è una riflessione “pulita” dalle nostre impressioni e convinzioni, tanto che potrebbe ampliare la nostra sofferenza. Se la ruminazione non trova una fine col perdono, essa si cronicizza diventando ri-sentimento.
Il perdono è un modo per modulare la rabbia, la vergogna ed il risentimento causato da chi ci ha ferito. Le ricerche psicologiche confermano che il perdono è una strategia che agisce in modo diretto sulle emozioni, cambiandole da negative a positive.
Gli studiosi concordano tutti sul fatto che il perdono è un processo che richiede del tempo. Maggiore è la ferita subita e maggiore è la necessità di avere tempo per metabolizzarla. Il perdono è una scelta che perdura nel tempo e se ci sentiamo ancora arrabbiati non vuol dire che non abbiamo perdonato, ma che abbiamo bisogno di più tempo per andare a fondo.
Perché perdonare?
…perché non farlo?
Il perdono è un toccasana, una legge di benessere psicologico. La ricerca psicologica sostiene che coloro che hanno perdonato riportano livelli più bassi di ansia e depressione rispetto a coloro che covano rabbia e rancore e non hanno perdonato. Il perdono permette anche la ricostruzione dei rapporti spezzati.
Cosa fare per perdonare?
Gli studiosi affermano che il primo passo per perdonare è: fermarsi. Ciò permette di guardare in faccia all’evento e riconoscere che ne siamo stati feriti.
Il passo seguente è: rivisitare l’evento. Questo permette di esprimere tutta la propria sofferenza ed entrare in contatto coi propri sentimenti.
Poi è necessario empatizzare con l’offensore perché l’empatia permette il cambiamento di prospettiva. Quando soffriamo la nostra attenzione è concentrata su noi stessi e sulle nostre reazioni. Capire cosa ha portato l’altra persona a tale azione, permette di riconsiderare la nostra posizione e capire quale sia stata la nostra parte. A tal punto l’empatia dovrebbe portare a raggiungere il cuore del perdono, che è la sostituzione emotiva del risentimento con l’accettazione e la compassione.
di Anna Cavedon