Come è noto in Italia, il disegno di legge Zan contro l’omotransfobia ha suscitato discussioni e polemiche e ancora ne susciterà al momento della discussione in Parlamento, prevista per questo autunno. In particolare, nel mondo cattolico si è distinta una nota della Presidenza della Conferenza Episcopale (Avvenire, 10.06.2020) che, oltre ad affermare la non necessità di questa legge, dato che ogni persona, proprio in quanto persona, è già efficacemente protetta dall’ordinamento giuridico del nostro Paese, ritiene effettivo il pericolo che in nome di questa legge si possa bloccare il diritto alla libertà di pensiero. Sembra, infatti, che il dettato dell’attuale proposta di legge possa dar adito a interpretazioni che potrebbero ritenere discriminatorio chi ha un pensiero, certamente non offensivo, ma diverso, a riguardo del senso della umana sessualità, della famiglia, della generazione. In altre parole, si potrà ancora ritenere che il matrimonio sia tra un uomo e una donna? che ogni bambino ha diritto a un papà e a una mamma? che il corpo dell’uomo e della donna, proprio nella differenza, manifesta un senso orientato all’incontro d’amore, al matrimonio e alla generazione? O si potranno ritenere idee potenzialmente discriminanti e quindi passibili di essere valutate come veri e propri reati?
Il relatore, on. Zan del PD, in una intervista al quotidiano cattolico Avvenire, aveva a suo tempo assicurato che non era questa l’intenzione della legge e che essa avrebbe certamente rispettato la libertà di pensiero.
Tuttavia, poiché ogni sentenza è una interpretazione della legge e non una mera applicazione, il giudice interpreterà il dettato effettivo della legge non l’intenzione del legislatore. Le parole per definire una legge non sono certo né neutre né ininfluenti, e proprio questo può dare il fianco a quanto paventato dalla nota della CEI e anche da altri studiosi e costituzionalisti.
C’è chi vede poi in questa proposta di legge il tentativo di affermare e di legalizzare una ideologia di astratta uniformità – il cosiddetto ‘pensiero unico’ – in cui il corpo e le sue differenze sono liberamente manipolabili dall’individuo, in nome di una libertà che trova il suo senso nella possibilità di scelta, dilatata quanto possibile.
Potrebbero inoltre seguire iniziative scolastiche, previste dalla medesima legge, capaci di plasmare una forma mentis, una forma sociale che tutti debbono assumere.
Ecco, le leggi non hanno questo compito. Esse non sono a servizio di ideologie, ma di tutta la società, e il modo migliore di tutelare anche i membri più deboli, o comunque più facilmente discriminabili, non è solo quello di una legge, ma prima di tutto quello di una cultura condivisa, senza che le due cose si escludano. Anzi, le leggi migliori nascono proprio da una cultura condivisa.
Non è compito del nostro breve intervento entrare nei dettagli di questa proposta. Molte e opportune informazioni si trovano su Avvenire. Ci interessa soprattutto svolgere alcune osservazioni di natura antropologica e sociale.
Innanzitutto, appare fondamentale chiarire il valore della differenza. Possiamo dire che, nell’unità del genere umano, uomini e donne vivono di molte differenze, a partire dalla differenza fondamentale tra uomo e donna. La storia e la cultura umana hanno vissuto e vivono di differenze: lingue, popoli, religioni, culture. Non ci nascondiamo che, storicamente, le differenze sono state e sono tuttora occasione di discriminazione e di ingiustizia, a partire dalla discriminazione e sottomissione della donna, che il testo biblico di Genesi coglie con lucidità e riporta, non al disegno buono e bello del Creatore, ma alla superbia e cattiveria umana. Ma è da annullare la differenza, o sono i rapporti umani da vivere sempre più come giustizia, in una società capace di valorizzare le differenze e non di omologarle?
I moralismi sono del tutto inutili e inopportuni, ma la riflessione sulla natura del rapporto sociale appare sempre più importante, non solo a riguardo di questa legge, ma anche di altre possibili future leggi. Ormai, il pluralismo delle convinzioni, delle idee e delle forme di vita, e il diffondersi, proprio come forma di rapporto e forma di vita, dell’utilizzo dei social, che sono vissuti da molti come modo spontaneo e immediato di relazionarsi agli altri, anche in forme di odio, di prevaricazione, di fake news, possono favorire e rafforzare forme distorte di relazione.
In verità, ogni rapporto sociale ha una legge di vita al suo interno. L’altra persona è indisponibile ai nostri progetti e alle nostre scelte. Rispetto significa riconoscere nell’altro una persona come me, eppure altra da me, il cui bene non viene dal mio riconoscimento, ma impone ed esige il mio riconoscimento, il mio rispetto. In altre parole, il fondamento di ogni rapporto sociale manifesta una prossimità, una umanità che la legge civile è chiamata a custodire, ad esplicitare.
Prima che rapporto legale, il rapporto umano è sempre rapporto di prossimità, o che invoca/impone il farsi vicino, il condividere, il comprendere e, nello stesso tempo, il richiamare alla verità di questa legge intima ad ogni relazione. Legge di prossimità, che la società è chiamata a esplicitare in forme di vita, in norme, in azioni, a favore della comune umanità di cui tutti siamo ospiti, non padroni.
Dalla Rivista Sulla Via della Pace n°60, articolo di Romolo Rossini
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