Quando pensiamo al tempo appare subito il primo aspetto, il kronos, il tempo che passa quasi senza che noi ce ne accorgiamo; solo guardando indietro ci sembra impossibile che tanti anni siano passati in così breve tempo. Allora appare quello che può essere chiamato il tempo della vita, fatto di elementi misurabili – gli anni – ma, molto più, fatto dagli eventi, dalle relazioni, dagli impegni, insomma, da quello che potremmo definire come un tessuto di vita, un tempo che diventa un testo – textus = tessuto – da leggere e da interpretare. Appare il tempo come kairòs, come tempo opportuno, tempo fatte di promesse e di decisioni, di eventi inaspettati e di incontri sorprendenti, certo anche di problemi e difficoltà, ma è il tempo vissuto, il tempo nel quale e grazie al quale si svolge la nostra vita.
Ad uno sguardo più attento, appare evidente che siamo fatti di tempo, fatti per guardare avanti, strutturalmente aperti al futuro, un futuro di possibilità che vivifica il nostro presente e lo rende dinamico. Futuro nel quale integrare il passato, dove emergono il volto e la presenza di persone che ci hanno voluto bene e hanno fatto sì che la nostra vita fosse una vita bella di cui poter ringraziare. Siamo quello che siamo, infatti, grazie al nostro impegno e libertà, ma per molti altri aspetti grazie a tante persone che ci hanno desiderato, amato e aiutato a vivere con responsabilità il tempo della nostra vita.
Appare anche che il tempo non ci appartiene, non è una nostra proprietà, una nostra impresa; il tempo è di Dio e ci viene donato perché la nostra vita sia riconosciuta e vissuta come tempo di grazia. Viviamo nella pienezza del tempo: «Il tempo è compiuto» (Mc 1,15), è il tempo dell’attesa umana di un senso di vita compiuta in un modo del tutto inaspettato e superiore a ogni attesa.
In realtà oggi – il nostro oggi – si compie ogni umana attesa nella fede in Dio che si è fatto vicino, prossimo a noi, uno di noi. Non un tempo vuoto o un tempo perso o un tempo che si consuma e ci consuma, ma un tempo nella cui quotidianità è possibile incontrare e decidersi per il Signore, per Colui che «non si vergogna di chiamarci fratelli» (Eb 2,11).
Romolo Rossini