Sinodalità, oltre i recinti

«Che possano esserci nella Chiesa, come dice il Papa, uomini e donne sinodali che hanno, come modo normale di agire, l’abitudine al dialogo, all’ascolto reciproco, a ricercare insieme soluzioni ai problemi».  Così il card. Kevin Farrel introduceva l’Incontro annuale con i circa 200 Moderatori delle associazioni internazionali di fedeli, dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità, che si è tenuto a Roma il 13 giugno scorso, al quale ha partecipato il Presidente di Via Pacis, Ruggero Zanon, accompagnato da padre Adalaikasamy Erudayam. L’incontro si proponeva quest’anno di mettere in evidenza alcuni esempi di strutture e prassi sinodali già sperimentate in associazioni e movimenti, che possono essere di esempio e di stimolo per tutta la Chiesa.

«In particolare» – ha affermato Elisa Lisiero, del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita – «le strutture di condivisione fraterna, come piccoli gruppi e piccole comunità, che spesso costituiscono la trama associativa dei movimenti, testimoniano uno spirito di amicizia e di famiglia che sgorga da uno stesso carisma o da un ideale evangelico, in contrasto con l’individualismo e la solitudine che attanaglia la società odierna. Dalle modalità di governo, in cui si evidenziano pratiche di corresponsabilità, emerge un nuovo ideale di leadership partecipato e condiviso; la dimensione comunitaria della preghiera comunica la bellezza della fede vissuta secondo uno spirito di famiglia; l’annuncio, che procede in primo luogo dall’essere comunità, esprime la forza della comunione missionaria. La dedizione ai poveri e agli esclusi, mediante azioni messe in campo insieme, trasmette uno sguardo nuovo di dignità e fraternità a chi è relegato nelle tante periferie del mondo».

Papa Francesco, nel suo discorso ai presenti, ha invitato a superare ogni chiusura: «non andare al di là di quello che pensa la nostra “cerchia”, essere convinti che quello che facciamo noi vada bene per tutti, difendere, magari senza rendersene conto, posizioni, prerogative o prestigio “del gruppo”. Oppure lasciarsi bloccare dalla paura di perdere il proprio senso di appartenenza e la propria identità, per il fatto di aprirsi ad altre persone e ad altri modi di pensare, senza riconoscere la diversità come una opportunità, e non una minaccia. Sono, questi, “recinti” nei quali tutti rischiamo di rimanere prigionieri. State attenti: il proprio gruppo, la propria spiritualità, sono realtà per aiutare a camminare con il Popolo di Dio, ma non sono privilegi, perché c’è il pericolo di finire imprigionati in questi recinti. La sinodalità ci chiede invece di guardare oltre gli steccati con grandezza d’animo, per vedere la presenza di Dio e la sua azione anche in persone che non conosciamo, in modalità pastorali nuove, in ambiti di missione in cui non ci eravamo mai impegnati prima; ci chiede di lasciarci colpire, anche “ferire” dalla voce, dall’esperienza e dalla sofferenza degli altri: dei fratelli nella fede e di tutte le persone che ci stanno accanto. Aperti, cuore aperto».

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